Da anni si parla del binomio doppia diagnosi e aggressività e di quanto, quest’ultima, sia una caratteristica intrinseca della malattia mentale poco prevedibile e gestibile.
La comorbilità, o doppia diagnosi, è definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) come la coesistenza nel medesimo individuo di un disturbo dovuto al consumo di sostanze psicoattive e di un altro disturbo psichiatrico.
I comportamenti aggressivi venivano repressi, contenuti e non capiti stigmatizzando le persone come “pericolose” e “imprevedibili” in quanto malate. Questo è quello che spesso si ritraccia anche in pazienti con doppia diagnosi.
Un importante contributo per stanare questo binomio è stato raggiunto con la pubblicazione del DSM V e con specifiche linee guida che non solo aiutano gli operatori a cogliere i segnali d’allarme prima di un agito aggressivo ma li guida nel saper gestire in maniera funzionale tale comportamento “educando” la persona a trovare delle strategie di coping più adatte per poter canalizzare al meglio la rabbia e la frustrazione derivanti da un dato pensiero e/o evento. Inoltre, la diagnosi non guarda e incasella più la persona nelle rigide categorie ma si apre ad una visione più ampia, a un approccio “dimensionale” che permette di comprendere le diverse aree disfunzionali della persona, non necessariamente collegate alla patologia, e di lavorare insieme su di esse al fine di innalzare la soglia di tolleranza al di-stress, aumentare le proprie capacità di adattamento e di resilienza e ridurre, così, gli agiti aggressivi.
In questo quadro “dimensionale” per rendere efficaci gli interventi farmacologici, terapeutici e riabilitativi è centrale il lavoro d’equipe, dove ogni operatore deve avere una visone d’insieme della persona che assiste e mettere a disposizione le proprie competenze per saper individuare i segnali sentinella, saper gestire al meglio insieme al paziente i “comportamenti problema” e insegnare abilità sociali più efficaci che permettano alla persona di ridurre questi comportamenti al fine di migliorare la propria qualità di vita in termini di autonomia e autoefficacia.